isbn | 9788899193560 |
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pagine | 46 |
Il guscio delle cose Paolo Giomi
Sono stato un pigro lettore di introduzioni. Ho coltivato l’attitudine a leggere prima il libro e poi la prefazione. Adesso mi trovo alle prese con una pagina per porgere, in modo adeguato, il Guscio delle cose, raccolta di scritti rastrellati da momenti più o meno lontani.
Gusci, involucri, scorze, ricordano la pelle di cui il serpente si libera, facendo la muta, anche ogni quindici giorni. La lascia lì, non si mette a ripiegarla, a custodirla, a farne parte di una collezione che durerà tutta l’esistenza, semplicemente se ne libera e continua il suo percorso altrove, senza preoccuparsi di ciò che abbandona.
Durante le mie passeggiate, mi è capitato di trovare gusci d’uovo leggeri, stranamente vuoti.
Talvolta la poesia è stata paragonata alla produzione del baco da seta. Quando ci ritroviamo il bozzolo fra le dita, il baco non c’è più, è passato a miglior vita e, invece di strisciare, vola.
L’emittente, quel luogo da cui scaturisce il cangiante filo di versi, è del tutto assente e ciò che viene scritto è qualcos’altro, non è certo la vita. Impossibile dire tutto, anche.
Non che la poesia non sia vita, ma cosa rimane del tessuto dei giorni?
Dove è andato a finire il tuorlo, l’albume, mentre il guscio si sgretola lentissimamente sotto gli occhi del lettore? Storie già scritte, già dette.
La ventura dell’atto poetico, consiste forse, in un lento sbriciolamento, morte e vita a un tempo; e più aumenta la distanza dalla vita che l’ha generato, più riecheggia in altro modo e forse più a lungo?
Non si tratterebbe, allora, di penetrar gusci per pervenire, infine, al cuore, che mondi possa aprirci. Avremmo piuttosto un’insolita partitura destinata a essere eseguita dal volenteroso lettore, senza di che la musica ammutolirebbe del tutto. Il guscio delle cose è presenza delle stesse, quando tende asintoticamente allo zero, costituendone la leggerezza, disponendo il vuoto colmato dal lettore-bruco il quale porta ad attuazione la propria sorte di farfalla.
Poiché il vero autore del libro è chi lo legge.
Concludo tornando all’inizio, al tentativo di aprire la porta di accesso al giardino chiuso del Guscio delle cose. Non si troveranno, qui, aiuole di bosso a recinger roseti di rose antiche, il pitosforo ancora non è fiorito e il nespolo giapponese ha già dato il suo profumo a dicembre; gigli e calle nella vasca da bagno ricolma di terriccio sono un ricordo lontano, Giove fa i suoi giri nel cielo e la stagione è matura, usignoli, lucciole, dunque aprile-maggio.
La perdita fa sentire il suo tintinno sottile.
Sogni a occhi aperti o a palpebre abbassate, il confine fra delirio e vigilanza è quanto mai brumoso per la processione dei fedeli d’Ammore.
Credula res Ammor est.
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