isbn | 9788899193591 |
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pagine | 37 |
Se abbiamo perduto Giobbe … Gabriella Ripa di Meana
Giobbe è solo e ridotto all’osso.
Gli amici di Giobbe si presentano per soccorrerlo.
Sono arrivati fin là per lenire le sue pene.
Vogliono consolare il suo dolore.
Ma in verità è lui, che lo vuole lasciare inconsolabile questo dolore!
Sente con tutto se stesso che quanto sta vivendo può essere sostenuto solo dalla nascita di una parola inattesa, di una parola libera dalla particolare schiavitù a cui lo obbliga la degradazione.
Per il suo conforto non vuole luoghi comuni, ripudia i discorsi garantiti dalla dogmatica: e da quella dogmatica che peraltro, fino a poco tempo prima, era anche la sua.
Pretende viceversa parole nuove, parole lancinanti di verità… come le sue piaghe.
E così loro (gli amici) finiscono per imputargli, poco alla volta, la causa del suo tormento e del suo stato di reiezione.Gliene dicono molte i cosiddetti amici, ma fondamentalmente il coro che condividono è questo: l’hai voluto tu… è colpa tua… sui servi e sui veri devoti la sventura non si abbatte… non c’è mistero… è tutto chiaro: Dio punisce i rei e premia i buoni e i fedeli.
Ebbene, mi sembra che questa esperienza abbia molto da insegnare a quelli di noi che – presi dalle buone intenzioni, ossia dai “buoni obiettivi” (per esempio) della terapia – non riescono ad ascoltare le parole fragili e indistruttibili di ogni singolo dolore… ma per lo più si dedicano alla sua diagnosi e alla ricerca del discorso che ne cambi il comportamento.
E con comportamento non voglio riferirmi soltanto ai terapeuti del campo comportamentale – che la loro cecità peraltro non la nascondono e addirittura la fanno valere come una virtù curativa – ma mi riferisco anche, e non meno, a ciascuno di noi quando si trova ad inalberare sapere, tentando di far tornare i conti… magari proteso alla ricerca dei risultati e del consenso perduti.
La parola di Giobbe, la parola della sventura, che d’un colpo, se solo lo vogliamo, se non la sconfessiamo, possiamo ritrovare sulla bocca muta di tutti gli sventurati di oggi, è una parola in grado di sostenere lo scontro coi discorsi di regime, di prestar voce a una coscienza collettiva silenziata dal battage quotidiano della terapia, che arriva da tutte le parti con lo scopo precipuo di mettere le cose a posto. Se abbiamo perduto Giobbe, con le sue domande folgoranti e indocili, abbiamo anche simultaneamente perduto l’altro.
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